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Per ricominciare l’anno con il mood giusto, ho pensato di mandare ai miei colleghi e le mie colleghe, oltre agli obiettivi che dobbiamo portare a termine, anche un’annotazione importante. Visto che ormai il vecchio anno è alle spalle, fra grafiche in ritardo, aggiornamenti su siti in elaborazione e piani editoriali, ho chiesto ad ognuno di loro di dirmi se, ad oggi, hanno qualcosa di cui si pentono o per cui provano rimorso, in particolare legato alla loro professione.

 

 

 

Creatività al servizio degli altri (e mai di me stesso)

Per incoraggiarli nell’affrontare una tematica così scomoda e profonda, ho raccontato loro qual è il mio rimorso o pentimento, senza mezze misure. Dato che il mio lavoro consiste prevalentemente nel forgiare la personalità di un brand e di dargli una voce, questa attività non solo richiede analisi tecniche legate al mercato e ai numeri (che spesso e volentieri lascio a Tiziana, la nostra marketing strategist), ma anche un’enorme dose di creatività.

Il mio pentimento è che, se penso a quante parole, idee, script e vere e proprie trame io sia stato capace di creare per i miei clienti, quando volevo creare qualcosa per me stesso, a fine giornata mi rendevo conto che la mia linfa vitale era finita.

Quella passione che mettevo nella scrittura, nella stesura di un brand book o di un testo per un sito che fosse memorabile non c’era più quando, a fine giornata, volevo creare qualcosa per me.

Ero stanco o poco lucido per dedicare parole a me stesso, e con il tempo mi sono reso conto di quanto questo mi abbia fatto male. Che si trattasse di scrivere un racconto, di suonare la chitarra o buttare giù anche solo qualche pensiero sparso, mi rendevo conto di avere un rigetto fisiologico. Il 2024 è stato un anno pieno di progetti meravigliosi per me, ma quella stessa meraviglia che sono stato capace di creare mi ha rubato via energie profonde, lasciandomi privo di elaborare un qualcosa per il semplice scopo di farlo, fosse anche senza senso.

Mentre racconto questo, guardo la mia chitarra elettrica, ferma da anni, che mi aspetta. Nel 2024 ho guardato con vergogna i miei romanzi nel cassetto, con i loro personaggi acerbi e le loro trame sgangherate o incoerenti, che mi guardavano e mi domandavano: adesso dove andiamo?

La chitarra è rimasta là, il suo colore nero lucido opacizzato dalla polvere che lenta ma implacabile è calata su di essa. I miei personaggi, le storie che ho scritto e non ho finito, e anche quelle che ho solo in testa e non ho provato mai nemmeno a scrivere: a loro non ho dato una risposta. Nel 2024 mi sembra di aver venduto un po’ l’anima, ma non al Diavolo (con cui ho un ottimo rapporto), ma a me stesso, pensando che tanto, comunque, qualcosa la stavo scrivendo, e che mi sarebbe bastato. Attraverso le mie idee creative e la mia scrittura, sono stato per gli altri un mezzo ma non un fine. Lezione dolorosissima. Per questo ho deciso che quest’anno lavorerò un po’ di meno per gli altri, e un po’ più per me stesso. Senza scopo di lucro.

 

 

 

 

Trovare le parole giuste e vendere senza rimorsi

Enzo è il primo a rispondere alla mia mail. Esordisce autocitandosi:
Perché non proponiamo in questo periodo dell’anno un po’ di articoli condivisi scritti a più mani? Bellissima idea, vediamo cosa salta fuori…massimo risultato con il minimo sforzo!

E poi ti ritrovi a rispondere a simili domande da seduta da psicanalista. La cosa che mi piace di questo tipo di contenuti e che scopri solo alla fine di cosa avranno mai parlato colleghi e colleghe.

Rimorsi e pentimenti? Non saprei cosa dire così su due piedi. Da una parte si insinua nella mia mente Max Pezzali con la sua canzone e ripenso a tutti quelle persone che ultimamente mi hanno chiesto se avessi visto la serie Netflix. Troppo hype, troppa sacralizzazione, la guarderò forse tra qualche anno. Per fortuna mentre scrivo la musica degli IC3PEAK mi porta altrove anche se non faccio che chiedermi che cazzo staranno dicendo in quelle loro canzoni riot sovietiche non proprio da mood natalizio.

Facciamo allora un (grande) reset.

Siamo professionisti della comunicazione, quelli che sanno trovare le parole giuste. Sempre. Tranne quando contano davvero. Tagliamo, cuciamo, ricomponiamo. Creiamo dipendenze, fomentiamo paure, inneschiamo desideri. Siamo i chirurghi dell’anima, ma operiamo a cuore aperto solo sugli altri. Il sapore amaro del “perché l’ho fatto”. Il pentimento di aver scritto uno slogan che ha fatto comprare a qualcuno qualcosa che non gli serviva. Il rimorso di aver usato una paura per vendere sicurezza. Siamo venditori di fumo, imbalsamatori di verità. Siamo i maghi del marketing, i sacerdoti del consumismo, i guru della menzogna, i burattini di un sistema che ci ha plasmati e ci sfrutta.

Non ho nessun pentimento e non perché sono un essere crudele e senza scrupoli. Non ho nessun pentimento perché ho deciso di non sposare questa filosofia lavorativa abbracciando invece un’etica e pensando che una scelta sia sempre possibile, soprattutto per chi opera nel nostro settore. 

 

 

 

 

Un camper, l’inverno e l’eterna lotta con l’ego

Quando Eugenio risponde alla mia mail, dopo aver letto le sue parole sono sorpreso di come abbia condensato in maniera così semplice ed efficace questo argomento.

Anche se l’argomento è particolarmente complesso e va a toccare alcune corde legate alla mia presunzione, al non voler vedere le solite antiche ripetizioni che mi abitano e anche se il mio ego di fronte a parole come rimpianto o rimorso è in grado di creare barricate che farebbero invidia alla Barriera di ghiaccio che separa il Regno del Nord dalle Terre dell’Eterno Inverno, quest’anno devo dire che è andata relativamente bene (ovviamente è sempre lui che parla, il mio ego). Forse, se tendo più forte l’orecchio verso il profondo del mio abisso, potrei sentire l’eco di un grido di dolore per non aver comprato ancora un camper e diventare finalmente un nomade digitale a tutti gli effetti.

 

 

 

 

La cosa più preziosa: il tempo

Martina, la nostra social media manager, ci confessa invece che si è pentita di non essersi ritagliata del tempo per lei stessa:
C’è una cosa che rimpiango profondamente di non aver fatto quest’anno: concedermi tempo.

Tempo per fermarmi, per respirare, per perdermi completamente nei miei pensieri senza un obiettivo preciso.

Molti ancora credono che il lavoro di social media manager consista semplicemente nel pubblicare una foto o un video. Spoiler: non è affatto così.

Oltre alla parte operativa – che è comunque una parte fondamentale del lavoro – ci sono una serie di attività meno visibili, ma altrettanto essenziali, che finiscono per assorbire la maggior parte delle mie giornate. Analisi, strategia, ricerca, monitoraggio sono solo alcune delle mille sfaccettature che, spesso, passano inosservate agli occhi degli altri.

Per fare un esempio, c’è chi durante la pausa pranzo si gode un momento di relax, magari scorrendo distrattamente i social. Poi ci sono io, che invece quella pausa la trascorro monitorando le performance di post e reel pubblicati in mattinata. E questo, ve lo assicuro, è solo un piccolo frammento della mia routine quotidiana.

Prendersi una pausa, quella vera, è quasi un’utopia. E so bene che la soluzione sembrerebbe semplice: “Basta spegnere il telefono, no?”. Ma ecco il secondo spoiler: non è così facile come sembra.

Per questo, quest’anno voglio promettere a me stessa una cosa: concedermi quel tempo che finora non ho mai avuto il coraggio di prendermi. Anche solo per leggere dieci pagine di un libro, per coltivare i miei hobby o per ritagliarmi un momento di silenzio senza sentirmi in colpa perché “bisogna lavorare”.

Forse non sarà semplice, ma so che ne varrà la pena.

 

 

Riflessioni amare e qualche promessa

Dietro ogni campagna di successo, dietro ogni strategia perfettamente eseguita, c’è sempre qualcosa che resta indietro: il tempo, le passioni, o forse semplicemente noi stessi. Il 2024 ci ha insegnato che è facile perdersi nel lavoro, convincersi che basti essere produttivi per stare bene. Non è così.

Abbiamo lavorato tanto, a volte troppo. Abbiamo messo la creatività al servizio degli altri, ignorando le nostre esigenze. Abbiamo sacrificato tempo, energia e pezzi di noi.

Il 2025 non sarà diverso, se non decidiamo di cambiare. Non servono grandi promesse, solo un po’ di spazio per respirare, per dire “basta” quando serve. Perché alla fine, se non ci riprendiamo almeno un po’ di quello che diamo via ogni giorno, rischiamo di rimanere a mani vuote.
 

IMMAGINE DI COPERTINA TRATTA DAL FILM Bussano alla porta.

 

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