Il sudore che ti cola lungo la schiena, il sole che ti martella il cranio, i tormentoni con un po’ meno autotune e con gli accenti che cadono sulla semiminima, la ricerca del relax, la voglia di non pensare a lavoro e scadenze: (odio) l’estate come cantava Bruno Martino. Ma l’estate è un’occasione per lanciarsi giù dalla ruota del criceto e rallentare sino a farla fermare.
Perché siamo così ossessionati dal fare, dal produrre, dal consumare?
Perché ci sentiamo in colpa quando non siamo impegnati in qualcosa di utile? Siamo Papalagi ossessionati dal denaro e dal lavoro, schiavi del tempo e delle nostre stesse creazioni. La cultura della produttività ci sta forse consumando? Tuiavii, un capo samoano, aveva capito tutto durante il suo viaggio agli inizi del XX secolo. Descrive l’uomo europeo come ossessionato dal denaro e dal lavoro, schiavo del tempo e delle sue stesse creazioni.
“Papalagi: Discorso del capo Tuiavii di Tiavea delle isole Samoa” è un libro che analizza gli usi e costumi degli europei, che il viaggiatore chiama Papalagi (termine samoano per indicare gli stranieri bianchi). Il suo resoconto è un mix di stupore, perplessità e disappunto. Il capo samoano si meraviglia della tecnologia e delle comodità materiali degli europei, ma allo stesso tempo ne critica l’avidità, l’individualismo, la frenesia e la mancanza di connessione con la natura. Questo libro è dannatamente attuale e mi ha fatto riflettere su valori e stili di vita che per noi possono essere anche normali o, meglio, standardizzati, ma che finiscono per sintetizzarsi nella sola ricerca costante del progresso materiale.
Quando cavalco attraverso un villaggio, lo supero velocemente, ma se vado a piedi, vedo di più e gli amici mi chiamano nelle loro capanne. Arrivare velocemente a una meta è raramente un vero guadagno. Il Papalagi vuole arrivare sempre in fretta. La maggior parte delle sue macchine servono unicamente allo scopo di raggiungere velocemente un posto. Una volta giunto alla meta, una nuova lo chiama. E così il Papalagi attraversa correndo la sua vita, senza pace, disimpara il piacere di camminare e vagabondare, di muoversi contento verso la meta che ci viene incontro e che non cerchiamo.
Se rallentare fosse la vera sfida e l’estate l’occasione giusta per mettersi alla prova?
La pausa non è un sonnifero, è una scossa elettrica
È il momento di ribellarsi alla dittatura della produttività, di dire basta a questa corsa sfrenata. Di riscoprire il piacere del non far nulla, di perdersi in un libro, di ascoltare il rumore del mare, di guardare le nuvole che passano tratteggiate dalle scie chimiche. L’estate non è una vacanza, è una rivoluzione. È il momento di riprenderci il nostro tempo, la nostra vita, la nostra creatività. Un’occasione che non deve esaurirsi con la bella stagione, ma un addestramento per il futuro prossimo.
Quella del sapersi fermare dovrebbe diventare la nostra nuova skill
La creatività non nasce dalla fatica, ma dal riposo. Dallo staccare la spina, dal lasciar andare le tensioni e dal permettere alla mente di vagare libera. Come sottolineato da diversi luminari del pensiero creativo, tra cui James Webb Young nel suo classico del 1934 “A Technique for Producing Ideas”, il filosofo Helmholtz e numerosi altri ricercatori, il processo creativo richiede una fase di disconnessione. Che si tratti di digestione mentale o di incubazione, è evidente che la mente ha bisogno di un intervallo per elaborare le informazioni e generare nuove idee. La novità, insomma, non nasce dal pensiero continuo, ma da una pausa strategica.
È quando la mente vaga senza meta che nascono le idee più brillanti. Pensa a Bukowski, che scriveva le sue poesie più belle nei bar più squallidi, o a Hemingway, che trovava l’ispirazione nella pesca e nella caccia. La creatività non ha bisogno di uffici e scrivanie, ha bisogno di libertà, di spazio, di tempo. Io non sono Bukowski e tu non sei Hemingway, ma abbiamo altrettanto bisogno di spegnere il telefono, di chiudere il laptop senza aver paura della noia.
Eugenio ci ha parlato del suo rapporto con la natura e di come questo alimenti la creatività. La natura è fonte di ispirazione come lo è viaggiare. Nuove culture, nuovi volti, nuovi sapori: tutto ti scuote, ti mette in discussione, ti costringe a guardare il mondo con occhi diversi. Ogni volta che parto e torno a casa non mi sento più lo stesso. Come Kerouac, che attraversò l’America in autostop, o Chatwin, che vagabondò per il mondo alla ricerca di storie, il viaggio è un’esperienza che ti cambia per sempre. Ti apre la mente, ti aiuta a conoscere te stesso.
La creatività non è un interruttore che si accende e si spegne
La creatività è un’attitudine, uno stile di vita. Per essere creativi, bisogna essere affamati di esperienze, curiosi come gatti. L’estate è il momento perfetto per coltivare la creatività: sperimentare nuove attività e dedicarsi a delle passioni magari che hai sempre trascurato. Scrivere una sceneggiatura, imparare a suonare la chitarra, fare un corso di cucina, ballare come se nessuno ti stesse guardando. La creatività non è un dono, è un istinto. È la fame di creare, di lasciare un segno, di esprimere la propria unicità.
L’estate è il momento perfetto per risvegliare il proprio istinto creativo. Allora sperimenta, gioca, esplora, scrivi, dipingi, scolpisci, balla, canta. Fai tutto ciò che ti fa sentire vivo. La pausa non sarà stata solo un momento di riposo, ma una vera e propria metamorfosi.
IMMAGINE DI COPERTINA TRATTA DAL FILM Shining.
Questo tema lo svisceriamo anche qui